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Immagine del redattoreJonas Marti

Il mistero della Stonehenge ticinese

Quarantacinque secoli fa lungo la strada cantonale di Claro i ticinesi preistorici devono avere sudato sette camicie. Innalzare in posizione verticale massi alti tre metri e mezzo, larghi uno e mezzo e pesanti fino a quattro tonnellate l’uno deve essere stato uno sforzo immane per loro. Un lavoro sfibrante per quei tempi, eseguito con la sola forza muscolare. Perché? A chi mai è venuta in mente questa audace e faticosa impresa? Non lo sappiamo con certezza, e forse non lo sapremo mai. Ma siamo certi che il risultato finale abbia ripagato il sudore versato: quegli imponenti blocchi di gneiss locale, disposti in bella vista lungo la strada che portava ai passi alpini e che già allora era via delle genti, dovevano fare un bel figurone a vederli.

Lo fanno ancora oggi, cinque millenni dopo, dissotterrati in un prato di fronte a una officina di autoriparazioni. Quattro grossi menhir (nome derivato dal bretone: pietra lunga), con le loro fosse di alloggiamento che ne confermano l’originale posizione eretta. E altri quattro massi più piccoli, alti poco più di mezzo metro, con segni di estrazione e lavorazione. Due di loro abbozzano addirittura una forma di uomo, con una spalla e testa scolpite nella pietra. Non è un dettaglio di poco conto: è la prima e la più antica testimonianza di scultura sul nostro territorio.



Per ora si può dire ancora poco su queste pietre. Gli scavi, avviati lo scorso dicembre dagli archeologi Mattia Gillioz e Maruska Federici-Schenardi, sotto la supervisione dell’Ufficio cantonale dei beni culturali, a seguito di un progetto immobiliare di edilizia privata, si concluderanno alla fine del mese di agosto. E solo questo autunno potrà cominciare lo studio approfondito. Ma per gli esperti una cosa è già certa: la scoperta di Claro è eccezionale e di importanza nazionale perché unica nel suo genere. Finora siti megalitici (megalite, dal greco: grande pietra) erano conosciuti solo nella Svizzera occidentale e settentrionale. A sud delle Alpi non si era mai trovato nulla di simile.

Prese le debite proporzioni, il sito megalitico di Claro è una vera e propria Stonehenge subalpina. Che ora potrebbe cambiare la storia del nostro territorio e aprire a nuove interpretazioni. Ne è convinta Maruska Federici-Schenardi. «Qualcuno aveva già segnalato qua e là qualche pietra con una organizzazione spaziale sospetta. In Val Vigezzo, nel Luganese. Ma quello di Claro è il primo sito megalitico riconosciuto e indagato. È molto importante perché oggi sappiamo che anche in Ticino possiamo trovare menhir. E ora si farà più attenzione a quelle pietre che prima passavano inosservate».

La datazione al radiocarbonio di un focolare rinvenuto nello stesso strato archeologico ha permesso di datare i menhir al 2500-2300 a.C. Per intenderci: in Egitto è appena stata costruita la piramide di Cheope, ma l’Europa è ancora ben lontana dagli sviluppi sociali e culturali del Vicino Oriente. Da noi però la collina di Castelgrande è già abitata da tremila anni. E il sospetto è che nella costruzione dei megaliti di Claro ci sia nientemeno che lo zampino di quei bellinzonesi preistorici. «Considerata la sua ampiezza, è probabile che il sito archeologico fosse di importanza regionale. È difficile pensare che sia stato costruito da umili pastori locali con le sole proprie forze. Possiamo supporre che la costruzione abbia coinvolto tutta la comunità della regione, e dunque forse anche gli abitanti dell’insediamento di Castelgrande», spiega l’archeologo Mattia Gillioz. Una preziosa testimonianza della capacità di organizzazione territoriale delle persone che abitavano il Bellinzonese nel Neolitico, e delle loro capacità creative e artigianali.

Molte domande rimangono però aperte. A chi mai può venire in mente di estrarre enormi massi dalle pareti della montagna, trasportarli più a valle chissà come, e infine metterli in posizione verticale? «Il megalitismo è un fenomeno che coinvolge tutta l’Europa, fin dai tempi molto antichi», spiega Gianfranco Zidda, responsabile scientifico dell’Area Megalitica di Saint-Martin-de-Corléans ad Aosta, mecca del megalitismo europeo, collegata all’importante sito di Sion in Vallese. «È però difficile trovare ragioni plausibili sul perché. Non abbiamo nessun elemento che possa testimoniarcelo e si formulano ipotesi in continuazione. La ricerca archeo-etnografica farebbe supporre motivazioni religiose e simboliche, come il culto degli antenati o il culto degli eroi». Una delle teorie più note è anche quella dei culti legati ai corpi celesti, come il sole. In altri siti europei, per esempio Stonehenge, le pietre sembrerebbero posizionate secondo precise logiche astronomiche.

«Gran parte delle finalità religiose ci sfuggono e forse ci sfuggiranno sempre», ammette Maruska Federici-Schenardi. Duemila anni dopo però la sacralità del sito è ancora tangibile: durante l’età del ferro (quindi attorno al quinto secolo prima di Cristo, giusto per capirci: è il periodo in cui ad Atene si costruisce il Partenone) megaliti più grandi furono coricati in posizione orizzontale e riutilizzati come base per erigere un nuovo luogo di culto, forse con finalità sepolcrali.

La scoperta dei menhir di Claro apre anche a congetture di carattere demografico. Come ogni luogo su questo pianeta, anche il Ticino è sempre stato terra di approdo per le popolazioni più variegate. Ma chi erano allora questi ticinesi preistorici che erigevano menhir? Da dove arrivavano? Tenetevi stretti: la teoria formulata negli scorsi decenni da diversi ricercatori guarda a Oriente. «L’analisi degli stili dei menhir antropomorfi parla chiaro. L’influenza culturale è quella della zona del Mar Nero», dice Gianfranco Zidda. «I manufatti rinvenuti nella regione alpina sono molto simili a quelli rinvenuti in Ucraina». Uomini e donne venuti da molto lontano, dunque. Migranti arrivati in Ticino e oltre, direttamente dalle sponde del Mar Nero, lungo i fiumi, seguendo il corso del Danubio. Del resto a confermare questa teoria ci sono anche le prove genetiche effettuate sui defunti inumati nei siti megalitici della valle d’Aosta: il Dna proviene senza dubbio dal Caucaso.

E c’è anche una conferma mitologica di questa antichissima migrazione, basta analizzare il nome dei Leponti, legato al mito di Ercole. Attraversando le Alpi, l’eroe condottiero di esodi lasciò dietro di sé un popolo di guerrieri: i Leponti, che appunto secondo alcuni significherebbe «i rimasti». Traccia mitica di antiche migrazioni partite da terre remote.

La scoperta dei menhir di Claro potrà dirci molto sulla storia del nostro territorio. Sapere che prima di noi, quarantacinque secoli fa, altre persone abitavano la nostra regione è straordinario. Il Ticino, prima di essere nostro, è stato loro. È appartenuto a genti provenienti da lontano, che parlavano lingue sconosciute e adoravano divinità ignote, ma che vedevano lo stesso profilo delle nostre montagne.



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